Diario di bordo – Movimento Sumud, Italia, settembre/ottobre 2025

Bologna, 3 ottobre 2025: Sciopero generale. Foto: Michele Lapini

*Questo diario è nato dalla necessità di tenere traccia di quanto abbiamo vissuto in queste
giornate, fin da subito manifestatesi come uno straordinario risveglio del conflitto in Italia. Il frutto
di questo lavoro di stesura e osservazione è tutt’altro che individuale, bensì una sperimentazione di
diario collettivo. Come potrete notare ci sono “Io” diversi che parlano, alcuni più riflessivi, altri
più cronachistici, altri più inseriti all’interno degli eventi. Ci sono ubiquità spaziali. La spinta a
capire cosa stesse succedendo ci ha portato quindi a registrare umori, sentimenti, limiti,
potenzialità. Questo “diario” non pretende di avere alcuna risposta, certezza o pretesa di
perfezione, vuole anzi essere uno strumento a disposizione per un dibattito sincero e ardito sul –
dentro – ai bordi del Movimento. Anzi questo strumento pretende l’imperfezione, data
dall’inevitabile intreccio di punti di vista situati, e dal fatto che è tutto in divenire, tutto in
trasformazione, e questo “diario” è la restituzione di un nostro “camminare domandando”.

Lunedì 22 – primo sciopero generale per Gaza

Ieri è stato il primo, vero, effettivo, sciopero generale a cui io abbia mai partecipato. L’ultimo forse sarà stato nel 2012, 2011? Non ricordo con precisione, ma nulla a che vedere con quanto fatto in questo 22 settembre. La Cgil ha fatto come al solito la sua mossa riformista, da sindacato timoroso qual è diventato, anticipando lo sciopero a venerdì scorso e portando in piazza appena 5000 persone. Scissionisti, riformisti e, ancora una volta, timorati! Forse volevano mettere il cappello sul primo sciopero generale per Gaza, ma le persone hanno riconosciuto il 22 come giornata dove fare sciopero. La mattina ci diamo la punta con altr3 compagn3 al provveditorato agli studi. Lì ci sono già centinaia di docenti, a cui si aggregano alcuni studenti mentre altre scuole sono in giro in corteo, pronte a confluire in piazza Scaravilli insieme agli universitari. Le sigle sono un po’ tutte assieme, non c’è distinzione ma solo una convergenza reale. Già solo tra i vari preconcentramenti della mattina – studenteschi, di docenti, dei Giovani Palestinesti, o di Plat e Bolognina antifa dal quartiere Bolognina – si superano le cifre della Cgil. In piazza Maggiore, invece c’è già un casino di gente. Il corteo è un fiume in piena e punta all’autostrada. Su via Stalingrado un primo blocco di polizia (forse volevano gasarci già lì), ma la dirompenza della massa riesce a far retrocedere lo schieramento. Arrivati in autostrada, invece, la rivelazione: in migliaia ci fermiamo ad occupare le corsie, resistendo agli idranti e ai lacrimogeni della polizia, nonostante la testa del corteo avesse già da un pezzo imboccato l’uscita. Scontri che continuano su via Stalingrado; la giornata non è finita, dopo una pausa in piazza Lucio Dalla si torna in corteo per andare a pretendere la liberazione dei compagn3 fermat3 in Questura. Nelle ore seguenti la riflessione è collettiva e si alimenta tra birre, chat, mailing list, assemblee.

Alcune riflessioni elaborate insieme all3 compagn3 nelle ore successive allo sciopero trovano spazio in questo documento: “Materiali per una critica di piazza”.


Mercoledì 24 settembre


Ieri notte è successo quello che tutti temevamo: Israele ha bombardato la Sumud Flottilla. Non ci sono stati morti, va bene, ma il gesto ci parla ormai di un diritto internazionale succube delle politiche di guerra di Israele, degli Stati Uniti e degli altri tirapiedi occidentali. Viviamo da tempo all’interno di uno stato d’eccezione, dove chi comanda è per definizione il sovrano di quell’eccezionalità. È dal 9 ottobre che Israele fa di Gaza e della Palestina il territorio attraverso cui imporre uno stato di eccezione globale, invadendo e infierendo su quell’ordine – anche voluto e desiderato dagli stessi stati occidentali – che si era definito nel dopoguerra. Onu, diritto internazionale, caschi blu, popolazione inerme, cittadini di paesi alleati: non c’è niente che non possa essere messo sotto attacco dalla lucida follia del sionismo. Il pericolo è reale e l’urgenza di scendere in piazza si percepisce nei tam tam sui social, in questi giorni persino alcune chat di massa sembrano essere diventate un organo di propaganda a servizio della causa. L’appuntamento è in piazza Maggiore. Dopo lo sciopero dell’altro giorno la presenza è importante, la piazza è piena. Saranno forse diecimila persone in piazza. La modalità di piazza rispetta quelle precedenti: presidio con comizio di almeno un’ora e poi partenza del corteo. Nel frattempo, vengono proiettate sulla Sala Borsa delle scritte laser per la Palestina. Dal microfono si annuncia la possibilità di un nuovo sciopero generale. Il boato. La gente esulta e scandisce a gran voce “sciopero, sciopero ge-ne-ra-le!”. Dopo poco si parte in corteo, l’aria è frizzante, siamo in movimento. Già dopo la prima svolta, però, il corteo si dirige verso il Pratello, lasciando molti di quelli con cui ho parlato con mille punti interrogativi sul perché e il per come. (Ma non dovevamo bloccare tutto?). C’è sconforto su questo e ripenso alla dinamica dell’autostrada, la testa che se ne va e il cuore pulsante che rimane a bloccare l’autostrada: il movimento reale è quello lì. A un certo punto, arrivati quasi in piazza san Rocco, il carretto dei compagni torna indietro, a destinazione rimangono solo usb, pap, e qualche gp. Frattanto la gente che non si era arresa alla possibilità di dare un senso alla serata si è accodata al carretto del cua. Il corteo riprende numeroso, forse due mila persone. Dalla coda un gruppo di giovani intona “stazione, stazione”. “Eccolo lì, il movimento”, ho pensato. Non appena si sciolgono un minimo le briglie, là dove l’atmosfera prende sfumature più sauvage, la piazza si rivela per i sentimenti reali che porta con sé: rabbia, coraggio, voglia di sfidare l’esistente attraverso forme di illegalità. A dispetto di questo, il corteo si fa lungo, la gente un po’ si perde e si finisce davanti al 38, dove i compagni improvvisano una barricata di copertoni. Va bene, ma l’entusiasmo della piazza sembra chiedere di più. Che fare?


Venerdì 26 settembre

Assemblea in Piazza Maggiore, chiamata da Gp, usb e pap. Partecipiamo anche noi. Io passo giusto per vedere che succede, ma niente, siamo in pochi. C’è qualche esterno, ma tendenzialmente c’è solo il ceto politico. Forse un’assemblea dopo che ieri ci si è riconvocati in piazza rischia solo di logare? Sarà il caso di riflettere sulle modalità e le proposte organizzative: il giorno prima una tenue partecipazione ha risposto alla chiamata di usb per una nuova acampada in piazza del Nettuno. In tutto un paio di tende degli organizzati. Ma come? Il movimento reale chiede obiettivi e tutto quello che si riesce a fare è rispolverare un repertorio dell’anno prima? L’organizzazione appare statica e attendista. La pratica del momento è il blocco, non il presidio.

Mercoledì 1 ottobre

In questi giorni c’era trepidazione mista a preoccupazione. Tutti sapevano che il giorno ics, del blocco della Sumud, sarebbe arrivato oggi. In non pochi ci abbiamo perso il sonno, in ansia nottetempo per l’assalto sionista. La mia compagna si è persino svegliata nella notte per controllare se li avessero intercettati. Passa la giornata, si fa sera, mentre siamo in archivio parte una nuova diretta: è il momento, ora li hanno bloccati veramente. Partono dirette un po’ ovunque, pure sui gruppi WhatsApp e Telegram. Sembra di essere all’interno di quegli eventi globali che toccano la vita di tutti. L’attenzione è alta, e anche se non posso generalizzare è qualcosa che si percepisce, è nell’aria. Dall’archivio raggiungiamo il corteo in partenza da piazza Maggiore. Decine di migliaia in piazza, forse anche venti mila? Di più? L’energia nella piazza si sente, si scandiscono slogan potenti, si marcia con ritmo. Peccato che la testa del corteo abbia deciso ancora una volta di fare un giro insensato: si sale per Nosadella, poi viali da porta Saragozza fino a risalire porta Castiglione e di nuovo in centro. Nessun servizio d’ordine in coda: noie con qualche fascistello e imbarazzo per la gente bloccata mentre stava per tornare a casa e ti dice «Io sto con voi, ma…». Ma che cazzo c’entravano i viali? Ce lo chiediamo un po’ tutti. Nel frattempo, vengono dati alle fiamme dei cassonetti. La gente in mezzo al corteo non capisce il gesto, ed anche io francamente rimango un po’ stranito. È chiaro: “che senso ha bruciare un cassonetto là dove non c’è la necessità di farlo? Solo per intossicare la coda”. Sono varie le persone che borbottano questo pensiero. Incredibile, ancora una volta la piazza è più avanti delle avanguardie che pensano di poter assolvere al proprio ruolo con un gesto “estetico”. Qualcuno accanto a me infierisce: «Siamo proprio alla memoria dell’estetica del conflitto». La piazza, invece, sembra avere una sua autoregolazione, sembra sapere quando è necessario bruciare un cassonetto, usarlo per una barricata, e quando invece un senso proprio non ce l’ha. Sotto le due torri la testa del corteo si dirige verso piazza Verdi. All’inizio non si capiva bene, ma spontaneamente la gente aveva iniziato a marciare, dando vita ad un corteo selvaggio per il centro. Qualcuno intona “la stazione non è lontana!” e ancora “stazione, stazione”. Ecco che di nuovo la voglia della componente più conflittuale della piazza si manifesta. La domanda però viene spontanea “chi è alla testa?”. Corriamo avanti e la sorpresa è elettrizzante: nessuno. Non uno striscione, non un cordone, niente. Solo gente che cammina e scandisce slogan al ritmo dei tamburi. Siamo almeno in mille o forse più. Su Marconi la digos tenta la mediazione ma niente: «Fuori la digos dal corteo!». Il segnale di indisponibilità arriva forte e chiaro. Pian piano la gente si camuffa e, oltre ad un gruppetto di volti amici, sono le persone più disparate a seguire il travisamento di massa. L’intento è quello di arrivare in stazione, lì di fronte però scende l’imbarazzo più totale. Si tenta una direzione, poi l’altra, si tentano dei cordoni, ma non si sa come farli, e nemmeno c’è chiarezza su come praticare concretamente l’obiettivo. All’ingresso principale c’è troppa polizia, dunque si ripiega su Carracci. Ci si ferma di nuovo, il corpo a corpo non è praticabile, e nel mentre qualcuno tenta con ingegno di entrare da una porta secondaria. La polizia forse se ne accorge, spara cs e la massa arretra. Il tentato assedio alla stazione si conclude con qualche barricata di cassonetti. Ora almeno un po’ più utili di prima. Al di là dell’impaccio, questa sera ci ha mostrato che c’è un cuore del corteo che ha bisogno di esprimere radicalità, lo vuole fare, non sa come farlo da solo, ma c’è. La gente è serena, vogliono andare a sciogliersi in piazza dell’Unità. Mah. Una voce femminile: «Ci rivediamo domani» o forse «Ci riproviamo domani». Un altro risponde: «Ma ‘sta volta senza pompieri». «Bravo», conclude un altro.

Giovedì 2 ottobre

Un’altra giornata di passione, come piace scrivere ai giornali meno spassionati, incomincia. La delusione e la lezione del giorno prima improntano la mattinata. Il blocco è cominciato. Ad aprire la strada, anzi a chiuderla, sono per primi gli studenti medi. La mattina è la loro, le strade pure. Sigillano le porte degli istituti al Copernico, al Fermi, al Minghetti, al Sabin, costringono le masse studentesche sulla strada e il traffico va in tilt, finché non si schierano a corteo e puntano da ogni parte verso la stazione centrale. Questa volta qualcuno ci mette la testa, e sono i giovanissimi che forzano il cordone poliziesco e vengono manganellati. La loro azione ha rotto con l’equilibrismo dei sindacati, e il blocco si rivela per quello che è: non una pratica di lotta, ma un obiettivo praticabile dalla massa, una prassi di classe. Non c’è che da aspettare la seconda chiamata in piazza.

Il movimento è convocato in piazza Maggiore. Questa volta c’è determinazione. Anche la repressione lo sa, e difatti non ci arginano più all’angolo di Ugo Bassi, ma ci aspettano già in fondo a via Amendola, presidiano in forze e rinforzi l’ossessione bolognese: la stazione. Ma all’altezza di via Milazzo, mi pare, la testa del corteo procede col suo carro e viene staccata dalla retrovia che vira a destra. Si aumenta il ritmo, oggi non si sfila. All’altezza di Medaglie d’oro, su Pietramellara, una serie di tentativi per capire dove infilarsi. E invece no, l’obiettivo è via Carracci. Comincia una corsa eccitante, sessantottina. Lo sento dire da un ragazzo in corsa su Matteotti che dice all’amico: «Madonna! Che figata gli autonomi». Sceso il ponte, due camionette carrambesche chiudono la via, in mezzo un drappello nero. È il primo scontro dopo il 22 settembre. Il corteo viene respinto più volte, ma resiste anche ai tentativi di sfollamento col gas. È l’inizio vero e proprio dell’assedio della stazione. Ormai si può tornare solo indietro, e ci si riunisce davanti Medaglie d’oro. Qui c’è ancora il carro di usb, rimasto chiuso nella zona antistante il piazzale, mentre da Amendola alcuni gruppi tentano di sfondare la polleria americana dove si sono asserragliati gli sbirri. È ora che si innalza il livello dello scontro. Una pioggia di cs acerrimo comincia ad abbattersi sugli assedianti, talmente tanto fitta che investe anche i portici dove la gente crede di soffocare. Mentre malox e medici danno sollievo, un tiro basso raggiunge all’occhio una ragazza. (L’indomani si saprà che rischia di perderlo). Eppure non si demorde, il movimento è deciso a praticare il blocco anche a costo di fare esaurire le scorte di lacrimogeni. La cosa dura così a lungo che, per evidente attivazione di protocolli di sicurezza ferroviaria, la circolazione è stata comunque sospesa e da Bologna non transita niente e nessuno forse oltre l’una di notte. Più o meno vecchi militanti punteggiano una massa di neofiti della rabbia, una gioventù ‘trasversale’, che è ragionevole ipotizzare sia scesa in strada per la prima volta nelle indignate e verbose marce contro i femmicidi, oggi sfoga con la resistenza dei suoi corpi una rabbia sociale ed esistenziale a lungo covata. Si ripiega e ci si sbanda leggermente in piazza XX Settembre. C’è anche una componente di sottoproletariato che aggiunge alla piazza la sua istintiva confusione da gang puerile. Ma anche se la polizia avanza, la piazza non si ritira, semmai retrocede. Si sono formati ormai dei blocchi separati, che però riescono a loro modo a coordinarsi. Dopo circa un’ora di resistenza all’altezza dell’autostazione, durante la quale altri sono riusciti ad aprire uno spazio di occupazione fisica dei binari entrando dai viali per una traversa, sono partiti niente meno che i caroselli delle camionette. Fino a quel momento il viale era stato anche un luogo di decompressione e ristoro, animato persino da dei musicanti con tanto di tromba e grancassa che stazionavano nella via traversa che porta ai binari (quella che, a un occhio più avveduto, era in realtà un vicolo cieco in cui non infilarsi). Un ragazzo, sarà stato appena ventenne, mi si avvicina per chiedermi una paglia: «Eri alla manifestazione?», mi chiede, e mi mostra la bruciatura che si è procurato cercando di rilanciare al mittente una bussola di cs a mani nude. Credo abbia voluto imitare chi svolgeva il grato ufficio avendo però i guanti da lavoro! Inesperienza e determinazione: la chiave tattica dell’improvvisata arte poliorcetica di oggi. Insomma, il blocco è riuscito. Ma con i caroselli qualcuno sembra sia stato bevuto, e la massa scomposta si riordina in qualche modo risalendo verso Irnerio. Qualche cassonetto meno velleitario viene incendiato per coprire la ritirata verso la zona universitaria. In un misto di distensione e fotta, c’è chi rimane in via del Borgo a fronteggiare alla rinfusa una caccia all’uomo non meno selvaggia da parte della polizia, e chi si riversa in piazza Verdi. Sono le tre ormai. Ci si domanda che sarà domani dopo l’illegalità di massa di oggi.

Venerdì 3 ottobre, secondo sciopero generale – Bologna

Il concentramento è in piazza Maggiore. Uno spezzone parte dalla Bolognina. Ci sono gli occupanti di Caracci, studentesse e studenti delle scuole vicine e precariato diffuso. A occhio siamo meno rispetto alla giornata di sciopero del 22 settembre. Una volta in centro, la Bolognina si unisce allo spezzone studentesco che è partito dalla zona universitaria. Il corteo si ingrossa. Giunti in Via Rizzoli si ha ancora la sensazione di essere meno rispetto al precedente corteo. Resterà un’impressione momentanea: in pochi minuti la via si satura, non riesce più a contenere le persone da piazza Maggiore strabordano nelle vie limitrofe. Anche Via Ugo Bassi è satura. Per tutto il corteo si rincorreranno voci: siamo 80mila, anzi no, 100mila, non è vero, siamo 130mila: un terzo della città! I più anziani dicono che a Bologna una cosa del genere non si era mai vista. Gli scontri della sera prima non hanno scoraggiato la partecipazione, l’hanno incrementata. Questo è un dato. Non si ha paura dei violenti: se lo scontro ha un obiettivo preciso, quello di bloccare a qualsiasi costo, questo viene accettato come forma di lotta dalla maggioranza che scende in piazza. Bisognerà tenerne conto in futuro.

Dalla stazione non si passa a ‘sto giro, il corteo prende prima i viali, poi fa il ponte di Stalingrado. Qui il colpo d’occhio riempie il cuore: un enorme serpentone di gente che satura tutta la via. Da dove sono non si vede né la testa, né la coda. Apro la diretta di Repubblica: la coda del corteo è ancora su via dei Mille – c’è scritto. Anzi, dai gruppi social arriva notizia che la coda estrema sta ancora lasciando piazza Maggiore. Una cosa inaudita.

Dopo il tunnel di Stalingrado c’è il primo contatto con le forze dell’ordine: vogliono che il corteo si fermi lì, non riescono a bloccarlo. Si prosegue. Altri tafferugli all’imbocco della tangenziale: sono costretti a lasciarci passare, la strada viene invasa. Siamo migliaia, si straborda in autostrada. La gente si ferma, chiacchiera, mangia qualcosa: schiscette, involti di mortazza, anche birrette e vinelli, che pare di stare ai giardini. Non vogliono di sfilare. Vogliono bloccare, e lo fanno con una serenità che a tratti sconcerta.

Ci hanno lasciato circa un chilometro di spazio. All’uscita 5 c’è un nutrito schieramento di polizia e carabinieri. Sono circa le 14.30 quando decidono che bisogna che usciamo dall’autostrada e dalla tangenziale. Sulla tangenziale per forza di cose è rimasto il carro di usb, che a una certa smobilita e si porta dietro chi è stanco o non può proseguire, probabilmente. Sull’A14, invece, parte il lancio di lacrimogeni accompagnato da manganellate: di nuovo nessuno molla, e si innescano oltre tre ore di scontri. Bologna è paralizzata, il nord-est su ruota tira il freno a mano. Di 130mila, a resistere in autostrada sono comunque migliaia, si fatica a pensarla una minoranza; una volta si sarebbe detta avanguardia. Il blocco è riuscito a paralizzare un’arteria strategica anche oggi. Per ore. Nel corteo nessuno distingue tra buoni e cattivi: l’obiettivo era bloccare tutto, e qualsiasi mezzo è stato accettato pur di raggiungere il risultato. Dalla maggioranza dei manifestanti. È una novità di questo movimento anche questa: l’obiettivo praticabile dalla massa.

Anche questa volta ci sono stati arrestati, tradotti in questura. Le organizzazioni rimangono inquadrate e contano per sé, il resto della gente continua il suo blocco. Non si sa come portarle vie, mentre il sole cala e la cosa si frangia. A prevalere è l’invito a resistere finché dagli avvocati non comunichino il rilascio dei fermati. L’annuncio atteso arriva, e forse ci guadagna anche la polizia a farci andare via e rimandare lo scontro.

Tutto si conclude in Piazza Lucio Dalla, dove si concentrano anche coloro che hanno resistito in autostrada. Domani ci sarà il corteo nazionale a Roma. Se i numeri sono questi, sarà una cosa che non si vedeva da anni.

Venerdì 3 ottobre, secondo sciopero generale – Roma

Ormai due sere fa le forze d’occupazione israeliana hanno bloccato la flotilla. Come preannunciato, oggi è sciopero generale, di nuovo, ma a differenza del 22 settembre anche la Cgil ha aderito alla piazza. Il governo ieri ha tentato di depotenziare la giornata di oggi dichiarando inammissibile lo sciopero proposto da Cgil e Usb per il poco preavviso. Fortunatamente la giornata di sciopero rimane garantita grazie allo sciopero già lanciato da due settimane da parte del Si Cobas. Nonostante tutto, il clima sembra montare in tutta Italia e le immagini che arrivano sono di piazze stracolme ovunque. A Roma la punta è nella piazza di fronte a Termini. I numeri sono elevati, si parla di 300 mila persone. Interessante notare che il dispositivo repressivo nei confronti della piazza sia tutto sommato esiguo, soprattutto se si considera che le stazioni sono state uno degli obbiettivi privilegiati da questo movimento che si è dato come pratica principale quella del “blocchiamo tutto”. Di fatto non un poliziotto o una camionetta di fronte a termini, che comunque subisce disagi, ritardi dei treni ect. Lungo il corteo fiume l’unico schieramento ingente di polizia si ritroverà soltanto di fronte al ministero delle infrastrutture, meno corazzato invece quello all’imbocco dell’autostrada, dove per altro viene di fatto concesso il passaggio e il blocco di parte del raccordo anulare. Il dato è di fatto incredibile e questo apparente clima di piena concessione agli obbiettivi del movimento, a Roma, non si traduce in un salto di qualità delle istanze, delle pratiche e degli obbiettivi che possono essere perseguiti. Dopo essermi aggregato allo spezzone di NUDM, il resto del corteo lo passo nei dintorni dello spezzone “di movimento”. È il classico carro che comprende le varie realtà, con uno striscione unitario che divide la piazza da quella dei sindacati veri e propri. Qui ci sono i compagni ex Degage, che ora hanno interventi un po’ sparsi tra scuole, università e Quarticciolo. La composizione della piazza mi sembra molto differente da quella Bolognese. La presenza giovanile rimane sicuramente quella di maggioranza, sebbene si incrocino a difficoltà le componenti di un proletariato o sottoproletariato giovanile, che sia migrante o meno. Mancano all’appello i cosiddetti maranza, soggetto che probabilmente a Roma manco esiste, poiché le dinamiche di integrazione tra seconde generazioni e proletariato locale, subcultura trap, si muove su altre direttrici. Giunti in autostrada sono pochi quelli che si lasciano travolgere dall’entusiasmo di invadere tutte le corsie, forse perché in realtà la giornata è già conquistata. Il blocco non è evidentemente una pratica che alla piazza romana dice qualcosa di significativo. C’è anche un’altra cosa da dire, la vitalità della piazza non mi ha trasmesso la stessa energia dirompente percepita a Bologna nelle giornate scorse. I cori, ad esempio, vengono raramente cantati in massa, eccetto forse quelle situazioni topiche come durante un sottopassaggio o mentre gli slogan vengono lanciati dal camion. Ci sono delle cose che non capisco: mi sembra che la massa fiume stia nei ranghi delle organizzazioni, dimostrando quasi una certa fidelizzazione, “non c’è foglia che si muove se non è voluto dalla testa dello spezzone”, ma se così fosse perché non si è riusciti a costruire una scalata di livello? Forse è una falsa organizzazione quella che vedo, e quindi credo di vedere; e ancora, nonostante l’enorme eccedenza mi sembra di essere di fronte al paradosso per cui, in realtà, non c’è spazio per l’esondazione, per l’esubero, anche incontrollato; dove sta l’inghippo, nelle ‘organizzazioni che saturano lo spazio? in una piazza depressiva incapace di farsi autonoma? Più probabilmente nel mezzo, come sempre.

Allo stesso tempo, anche le organizzazioni politiche mi sembrano all’interno di un empasse tutto determinato dai difficili equilibri dei rapporti tra gruppi. Se già difficili, nella capitale questi equilibri tendono maggiormente all’entropia. Mentre a Bologna si tematizza la necessità dell’unità con il rispetto di pratiche differenti, i compagni di Roma mi dicono che nei giorni passati universitari e sindacati abbiano scazzato pesantemente. In sostanza non mi sembra ci sia stata la capacità di verificare- anzi manco di azzardare – delle ipotesi su questo movimento in termini conflittuali e di classe. La giornata si conclude dopo molte ore con l’occupazione della Sapienza. Nel frattempo, mi arrivano le immagini da Bologna, sono le 17.00 ed è da quattro ore che si da battaglia con la polizia nell’autostrada bloccata. Abituato all’effervescenza bolognese, Roma mi ha lasciato l’impressione di una piazza un po’ smortina. Questa differenza andrà sicuramente indagata meglio: in parte mi sembra che dia ragione alle riflessioni fatte nei giorni scorsi con i compagni [limiti delle organizzazioni rispetto alla fase], dall’altra mi si presentano numerosi dati in più da approfondire. Vedremo domani, si prospetta una giornata croccante, anche se nessuno ha le idee chiare. Non so se darò troppo credito ai compagni del nazionale, vedremo.

Sabato 4 ottobre

Ci siamo. Un milione in piazza per Gaza, impressionante. La giornata con più gente in piazza che io abbia mai visto. Ci infiliamo nel corteo un po’ a caso, c’è di tutto. Pian piano si strutturano gli spezzoni, in testa i Palestinesi, al centro i Sindacati e i Partiti, ed in coda il “movimento”. Dal Colosseo ci fermiamo ad aspettare, e osserviamo il fiume che passa per 2 ore buone. C’è di tutto: falci e martello di ogni forma, colore e dimensione, gruppi comunisti dei più svariati manco fossimo alla “Parata della Vittoria” sovietica, spezzoni dei lavoratori che vanno dai sanitari, gli educatori, gli insegnanti, i lavoratori degli istituti di credito (!!! Ma questi da dove sono usciti???), del pubblico impiego. Di tutto. Anche oggi ho un’impressione particolare verso il corteo, un po’ diversa da quella di ieri. In realtà mi sembra che il corteo sia diviso in due, ma non in verticale, bensì in parallelo: gli spezzoni di ogni sigla sfilano vistosi, ma il corteo reale, la gente, gli scorre accanto quasi come se non si incontrassero nemmeno. È un’impressione ma è quella. I gruppi fanno i gruppi, i sindacati i sindacati, i partiti i partiti, e il movimento reale scorre come un fiume. Di fatto la giornata prosegue in maniera tranquillissima. Mi sembra non solo che la città sia arrivata impreparata a questo momento, ma che anche i compagni stessi siano giunti all’oggi con la domanda “e mo’ che si fa?”. Non c’è unione, non c’è intesa, non c’è termometro della piazza. Il paraocchi dei gruppi che si percepiva nelle giornate precedenti ha condotto i compagni nel vicolo cieco Santa Maria Maggiore. Terribile Caporetto. Un’azione stupida sotto mille punti di vista. Ma dove corri staccandoti dal corteo, senza creare un minimo di dimensione di massa? Scherziamo? Vabbè. Andiamo a portare solidarietà ai fermati. C’è un corteo che si è mosso da Sangiovanni a SMM, iniziano tarantelle varie, ma ancora una volta non mi sento di dare credito alla piazza romana. Sembra più una dinamica di chi vuole togliersi i sassolini dalle scarpe, non una reale reazione di rabbia per il fermo dei compagni, ormai anche già rilasciati. Ai margini della nube acre dei cs, ci fermiamo a fare due chiacchiere con un compagno di vecchia data e la sua amica. Esordisce con una massima: “ci sono due modi di perdere a poker: quando hai una mano vincente e foldi perché non te la senti, ti mangi le mani, ma quando credi di poter andare in all in e vieni spazzato via, allora piangi”. Emergono una serie di considerazioni: da una parte la questione degli obbiettivi, anche giocando a mosca cieca in centro a Roma non si sbatte su un simbolo del potere, perché non c’è stata la capacità di dare un’indicazione al milione sceso in piazza? Il “blocco” è stato assunto come pratica in buona parte del paese, rompendo di fatto il dispositivo repressivo di Salvini, ma la prospettiva da mettere a verifica non deve essere la pratica statica, ma la sua natura di “prassi”, dunque come strumento di lotta, momento di crescita della classe e spazio di organizzazione. In conclusione, due battute su questa Gen Z e la carsicità delle eruzioni sociali. Ci fermiamo a riflettere sul fatto che per “noi” della nostra generazione, le ultime due settimane rappresentano un “Onda che ce l’ha fatta”. Forse si, forse no. Però, va da sé che la generazione dei giovani di oggi è una risposta alla risacca totale esperita nei dieci anni tra il 2015 e il 2025, il blocco dell’adolescenza a causa del Covid-19 ect… forse anche per questo si esprime con modalità di piazza non sempre codificabili, con momenti di rabbia nichilista, sauvage, “alla francese”, il cui obbiettivo è la disseminazione del caos, che è poi la dimensione in cui sono nati questi nuovi giovani. Ci sarà da riflettere. Nel frattempo, mentre torniamo verso casa, incontriamo un gruppuscolo di giovanissimi che si aggira per le strade vicino a Termini. Neri, in silenzio, danno fuoco a tutto.

Lunedì 6 ottobre

Assemblea metropolitana a Crash, partecipazione inedita. Un centinaio di persone, tutti giovani, universitari o appena laureati. Uno dei temi più discussi è il rapporto con le pratiche di “violenza”, o per meglio dire l’“uso della forza”. Non è un tema liscissimo, c’è chi si pone eticamente il problema di esercitare “violenza”, riconoscendo però i contesti in un cui è necessario; c’è chi si pone il problema di come si sta in piazza e di come fare in modo che si inneschino delle dinamiche in cui ci si senta sicuri; non è tanto sulla prospettiva che si ragiona, ma sul capire meglio come si può far male allo stato di cose presente. La risposta istintiva al lancio di un lacrimogeno o ad una manganellata si è tramutata, in due settimane di conflitto, in uno spazio della consapevolezza, che è anche una porta aperta alla necessità di costruire e immaginare nuove forme dell’organizzazione, che ragionino sulla prassi a partire dalle pratiche di conflitto. Bisogna tornare a dare concretezza a quello che diciamo. Il conflitto, in questo, è maestro.

Martedì 7 ottobre

Oggi, grande giornata di passione pt. 2. Lo scandalo per il volantino dei Gp sul 7 ottobre lascia presagire già da ieri che la polizia tenterà in ogni modo di bloccarci. Infatti, appena arrivati in piazza le camionette, almeno 20, bloccano tutti gli angoli di piazza Nettuno e Maggiore. Siamo una settantina bloccati al Nettuno, accerchiati totalmente. Scene di follia repressiva mai viste in Italia. Vogliono farcela pagare per i giorni scorsi, netto. Il problema che ci ponevamo di fronte a questa piazza è che nel suo causare clamore rischia di rompere un difficile equilibrio che si era riusciti a trovare nelle due settimane precedenti di movimento, anche e soprattutto nell’integrazione tra componenti sociali diverse e nell’accettazione di pratiche diverse, conflittuali e pacifiche. Il timore, quindi, è che il movimento si smorzi totalmente. Da p. Maggiore arrivano i primi solidali, anche loro braccati dai blindati della polizia, mentre dall’università pare che ci stia per raggiungere un corteo di altri solidali. Insomma, un assedio all’assedio, ma senza che nessuno ci capisca un cazzo del da farsi. Dopo vari tentativi, la pressione della massa grazie anche alla mediazione di qualche legale, riesce finalmente a ricongiungersi in p. Maggiore con gli altri solidali. Non siamo pochi, almeno 1000 persone, questo è già un dato di speranza. Nel frattempo, cerchiamo di mediare nuovamente per raggiungere altri solidali all’altezza di via Rizzoli. La polizia ad un tratto sembra più confusa di noi, corre da una parte all’altra per sbarrarci le strade che i loro stessi dirigenti ci indicano come percorribili per uscire dal recinto. Nella confusione di questo flipper sul Crescentone, ci si scambia pareri tra sconosciuti, ma in realtà uno con cui parlo mi dice: «Noi due abbiamo spalato assieme». Si riferiva all’alluvione di Bologna, quando il soccorso è dipeso per una settimana dall’autorganizzazione di massa. Nelle lotte gli sconosciuti si riconoscono. Palla in buca, il flipper è finito. Si apre un varco, la strada giusta è quella che dalla Linea porta a via Rizzoli, ma anche stavolta la polizia non ci capisce nulla e, non appena sbuchiamo in strada, dalle due torri partono le cariche contro il presidio di solidali accorso dall’Università. Non siamo pochi per nulla, 2/forse 3 mila persone o forse anche più, non saprei. La polizia carica e spezza una parte della massa, disperdendo anche con idranti su via Ugo Bassi. Ma che senso ha disperdere persone a cui non lasci vie di fuga? Sembrano volerci indurre allo scontro a favore di mille telecamere. Non a caso, un dirigente mi pare avesse intimato di scoprirsi a chi si fosse bardato per tutelarsi. Successivamente si riesce a partire in corteo su Strada Maggiore, continuando a fronteggiare la polizia che alla coda del corteo continua a caricare. La rabbia è altissima, la repressione poliziesca è in grado di ricucire le fratture causate dal post dei GP. Il diritto di movimento è stato conquistato: 1-1 palla al centro.

Arrivati in piazza Verdi la massa è consistente e molti ragazzini si attrezzano per voler ripartire, come durante la sera del primo ottobre. Si intona “corteo, corteo” ma la massa è indecisa. Parlando con uno di questi giovanissimi cerco di fargli capire che un obiettivo è già stato raggiunto e domani si torna in piazza, bisogna pensare di strategia. Ma non ne vuole sapere, per lui bisogna farla pagare. Rabbia e nichilismo. In tutto questo, solo una palestinese riesce a smobilitare la piazza. Dopo venti minuti di “free free Palestine” decide di arrampicarsi su un cestino e si lancia in un discorso strappa ovazioni: “bisogna lottare! Accanto alla resistenza palestinese, contro le bugie dei media”, lei e il suo popolo sono stanchi, è ora di andare. Scende dal cestino e usa la sua kefiah come striscione. Dietro di lei la massa si muove. Siamo circa 700, forse più forse meno, ma almeno i tre/quarti sono camuffati. Dato interessante. Si creano barricate per la strada, la massa è consapevole che prima o poi la polizia ci raggiungerà, ciò che è meno chiaro è cosa fare, se andare in stazione, andare in questura, stare in giro e aspettare che ci chiudano nuovamente, boh. È quello che succede su Righi, chiusura a panino, poi dei caroselli su piazza VIII Agosto, poi un altro panino su Irnerio. Io mi ritiro. Nonostante le genuinità di questo movimento se ne percepisce tutta l’immaturità. Mi domando come dare continuità a questa roba, come far capire la necessità della strategia a queste avanguardie gen z, tanto generose quanto perse nel sentirsi soli contro il mondo.

Mercoledì 8 ottobre

Bloccano la flottilla. Oggi un’altra verifica per la piazza bolognese. Siamo in 10.000, è un dato di continuità incredibile. Forse non si può dire lo stesso dell’estensione nazionale delle piazze. Però è un dato enorme. C’è stanchezza, si percepisce. Non ci sono più i regaz di ieri, oggi è tranquilla. Si termina in piazza Maggiore con Bella Ciao. L’indomani firmeranno gli accordi di pace, che succederà? Ma soprattutto, come rilanciare? Nelle chiacchiere durante il corteo provo a lanciare l’idea di un’assemblea, il movimento ha bisogno di fermarsi e riorganizzarsi, e la gente ha bisogno di percepire continuità, sicurezza. Chissà se ancora una volta le organizzazioni saranno un limite oppure abbatteranno le proprie barriere e diventeranno uno strumento a disposizione del movimento reale.

E oggi? E domani?

È ormai più di una settimana che è stato firmato il trattato di Sharm el Sheik. La puzza di colonialismo stantio la sentono tutt3, senza contare che continuano a fare la guerra ma la chiamano pace. Scommetto che ognuno in questi giorni si starà chiedendo “e ora? Che fare?”. Non so se è così, ma mi piace crederlo. Ognuno, nel proprio piccolo gruppo di amici, o di affinità, nelle sue assemblee, con 3 suo3 compgan3, con 3 coinquilin3, compagn3 di corso, di banco, collegh3. L’unico pensiero è quello di non retrocedere al senso di impotenza che governava le vite di tutt3 noi prima del 22 settembre. Come farlo? Come evitarlo? Credo che siano domande che tutt3 debbano porsi. Le realtà tradizionali della sinistra movimentista, nonostante il contributo enorme e indispensabile che hanno dato alla realizzazione di queste giornate, si sono dimostrate inadeguate a cogliere le spinte che provengono dal sottosuolo. Le vecchie forme organizzative non bastano più e la potenza convergente dell’equipaggio di terra, nel suo costruire una nuova identità collettiva, indicazioni e pratiche chiare, ne è stata la riprova. Il punto, oggi, è capire come fare tesoro di quello spirito? Quali spazi di organizzazione del conflitto – nuovi – si possono, o meglio, dobbiamo creare? Forse è questa la domanda più urgente. In un certo senso il “cosa fare” lo abbiamo capito tutt3 insiem3: il blocco, il sabotaggio. Il “come farlo” o “come continuare a farlo” è invece un quesito che richiede l’immaginazione sovversiva di ognun3.

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